Quinto incontro di scrittura creativa.

 

Che ne pensate dei proverbi? 

Vi piacciono? 

Vi incuriosisce sapere come sono nati? 

Quali messaggi educativi (ammesso che tutti ne abbiano) contengono? 

Siete stati condizionati da qualcuno di loro?

Scrivere permette di indagare anche quegli aspetti di noi che sentiamo essere fortemente condizionati da chi o da cosa abbiamo ascoltato in passato, magari trasformando le parole udite, in regole perentorie da seguire che mal si adattavano (o si adattano) a ciò che siamo. 

Oggi con il testo che segue vi portiamo, appunto, nel mondo dei proverbi!


Il proverbio che non mi è mai piaciuto di D.P.

Non mi sono mai piaciuti i proverbi: trovo siano il modo frettoloso e furbo di definirli “detti popolari “ mutuando al popolo i più banali e scontati luoghi comuni.

Troppo facile, sarebbe, calare la carta proverbi sulle donne con righe di sciocchi stereotipi del tipo chi dice donna dice danno, donne e buoi dei paesi tuoi o le incommentabili donna nana tutta tana o donna baffuta sempre piaciuta: preferisco solo citarli ed esporli al pubblico ludibrio.

Vorrei, invece, soffermarmi su un odiosissimo proverbio che ha, però, numerosi e assidui accoliti: chi fa da sè fa per tre.

Agli inizi della mia carriera lavorativa ho spesso incontrato solerti colleghe, disperate dall’ingresso di una nuova, che si premunivano di farmi sapere che abbiamo sempre lavorato così dove  "abbiamo"  era un plurale maiestatis. A suffragio mi mostravano un quadernetto (lo chiamavano così) dove appuntare a matita (rossa o blu a seconda dell’esigenza) i segreti dell’azienda.

Ovviamente non erano segreti ma maniacali procedure, che rasentavano riti scaramantici, per eseguire normali, normalissime pratiche di lavoro.

Erano regole che le solerti impiegate si erano inflitte per non sbagliare e avere tutto sotto controllo ignorando che richiedevano una bella mezz’ora per portare a termine una operazione di 10 minuti.

Potremmo provare a mettere tutto sul pc provai a dire ma neppure padre Karras dell’esorcista si sarebbe conquistato uno sguardo più satanico.

Come osavo, io, intervenire nella loro assodata routine? Spesse volte ho sospettato che tutta questa inutile solerzia non fosse tanto praticata per perseguire il bene dell’azienda quanto quello del loro portafoglio che si gonfiava a suon di straordinari.

Era questione di sopravvivenza la mia, abbozzavo fino a che un giorno mi arrivò mi arrivò la frase delle frasi faccio prima a farlo che a spiegartelo.

Fu il momento che capii che in quell’ufficio sarebbe stata dura. Poi, con il tempo, le cose girarono dalla mia parte e le mie colleghe spesso, al mio passaggio, bisbigliavano tra loro un altro ridicolo luogo comune: si stava meglio quando si stava peggio.

Nella mia vita lavorativa le cose sono andate molto avanti sempre però con il coltello tra i denti ma ogniqualvolta mi fu presentata una nuova collega per l’inserimento in azienda, posso dire MAI e poi mai, mi sono rifugiata nell’ostruzionismo, anzi, ho cercato di gestire le potenzialità della nuova arrivata fino a renderla autonoma nelle sue mansioni.

Il sapere è condivisione, nulla del sapere è tuo perché è proprio quando diventa esclusivo che si fossilizza. La conoscenza ha bisogno di espandersi, modificarsi, confrontarsi, non a caso l’invenzione della stampa, che ha diffuso a molti le conoscenze di alcuni, è considerato uno degli eventi che hanno cambiato la storia.

Chi fa da sè fa per tre è un orrore: dovessi, proprio, scegliere un proverbio sceglierei l’unione fa la forza.





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