Settimo incontro di scrittura creativa.

 

Ogni lettore ha le sue aspettative quando sceglie un libro.

Gli adulti possono sceglierle in base ai loro interessi generi e autori, i bambini spesso si devono «accontentare» di ciò che viene loro comprato o regalato.

I contenuti adatti ai più piccoli però, sono spesso anche quelli che attirano i grandi e, far sperimentare la scrittura di testi che ci permettono di esplorare le parti di noi che meno ascoltiamo, può essere divertente.

Cenerentola, nella versione di Walt Disney canta: «Nel sonno non hai pensieri. Ti esprimi con sincerità …». Freud invece sosteneva che il sogno fosse «il modo in cui il nostro inconscio comunica con noi».

L’autrice che vi propongo oggi ha sognato una sua paura.


Vi racconto un sogno
di A.P.
 

Ho paura dell’aereo, sì, direi da sempre.

Tantè che non volo più. Dicono che sia una fobia, forse superabile, ma ho fatto un sogno, questo: saliamo sull’aereo luccicante all’aeroporto di Torino, ansia; ci sistemiamo nei posti prenotati, aumenta l’ansia.

Finché siamo stati a terra sono stata quasi calma, preoccupata solo di finirla presto, ma ora controllo che dal mio posto a sedere si raggiunga facilmente l’uscita di sicurezza.

Riconosco dall’interno il mio sguardo, quello che osserva intorno in cerca di un segno che mi dia il polso della situazione.

Guardo il personale di bordo, scruto i loro visi, ascolto le loro parole, non c’è segno di allarme.

Possibile?

I miei compagni di viaggio mi parlano, sono infastidita dal disturbo che mi

arrecano, non mi lasciano concentrare sul mio problema, l’ansia.

Il personale spiega i percorsi di sicurezza, come comportarsi con le mascherine in caso di mancanza di ossigeno.

Faccio molta attenzione.

Al rullare sulla pista stringo i braccioli e sto molto dritta contro il sedile in attesa della accelerata dell’aereo in salita.

Non ancora, non accelera, rulla piano, non siamo ancora sulla pista di decollo. Passano i minuti, continua a rullare dolcemente. Il paesaggio intorno cambia, non ci sono più aerei intorno, solo qualche albero lontano.

Ogni tanto un sobbalzo mi rassicura, siamo ancora a terra.

Passa mezz’ora circa e mi abituo al rullare, l’ansia si calma, ricomincio a parlare, bevo un sorso di acqua, se continua così mi va bene, è come viaggiare in pullman, solo un po’più grande.

Due ore dopo chiedo al personale di bordo: dove siamo arrivati?

Mi rispondono: siamo già a Bari, un piccolo salto e siamo di là, non si preoccupi signora, l’autostrada era molto libera.




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