Quattordicesimo incontro di scrittura creativa.

 

La creazione dei personaggi è un passaggio importante in un corso di scrittura creativa.
Lo è perché dopo la iniziale soddisfazione di aver individuato il personaggio giusto a cui affidare la narrazione della nostra storia, occorre fare i conti sulla sua efficacia e credibilità.
Questo perché la stessa trama raccontata da personaggi diversi, genera sensazioni diverse nel lettore e può fare la differenza in termini di apprezzamento.
Imparare a creare un buon personaggio è un passaggio essenziale.
Tecnicamente si definisce «caratterizzazione».
Il testo che vi propongo oggi contiene un personaggio efficace e congruo alla storia che viene raccontata.

 

Giovannino lo stereofonico
di G.F.

Quando morì la madre, a novantotto anni, mi proposero di lavorare in quella casa. Io accettai, perché ne avevo bisogno e fu così che divenni tuttofare presso il figlio, il signor Giovannino.

Ne avevo sentite di lui, ma la realtà ancor oggi non finisce di sorprendermi. Ormai ultrasettantenne, baby-pensionato dopo aver lavorato come impiegato presso un’amministrazione pubblica, è da sempre scapolo. Si vocifera di una fidanzata che lo avrebbe lasciato nella notte dei tempi, ma io stento a crederci. Vero è che si potrebbe definire un uomo senza vizi perché non beve e non fuma, ma non riesco a immaginare una donna al suo fianco.

Più piccolo di me, con una pancetta che sembra crescere di giorno in giorno, sostenuta da due vistose bretelle rosse, ha un paio di baffetti alla Hitler sempre più incanutiti.

So che si cambia regolarmente perché gli lavo e stiro io, che peraltro ho imparato a mie spese a non toccare assolutamente nei suoi cassetti. L’unica volta che l’ho fatto si è infuriato di brutto e ho potuto constatare a che livelli può arrivare la sua voce. Di solito, però, parla piano e non guarda nessuno negli occhi. Nessuno è la parola giusta: non ha amici né parenti che lo frequentino.

Un giorno che un gatto si è affacciato alla porta posteriore ha dato in escandescenze come se fosse stato una belva feroce. Da allora tengo a debita distanza qualunque bestiola tenti di avvicinarsi.

Ormai conosco tutte le sue abitudini, anche se faccio ancora fatica ad adeguarmi. Gli preparo i pasti, sempre le stesse pietanze, e il tavolo, seguendo un rito invariabile. Posate, piatti, bicchieri secondo uno schema preciso: i primi tempi con un metro da sarto mi insegnò le distanze da rispettare. I pavimenti vanno incerati anche se lui rientra dal giardino con le scarpe incrostate di fango, ma è d’obbligo per me usare le pattine, posizionate all’ingresso come sentinelle di una caserma.

Nel giardino non ho mai capito bene cosa coltivi, se non qualche cavolo, peraltro ornamentale.

Fa la spesa lui, ma non so dove né quando e non indago.

Esce, questo sì, per portare l’immondizia nei bidoni. Un solo sacco, nero, legato ad arte, tutti i giorni alla stessa ora. Le quattordici e dieci. La Franca, che abita lì di fronte, sostiene di regolare l’orologio al suo passaggio. Un giorno l’ho osservato proprio dalla finestra della Franca. Cammina a passettini, attentissimo a passare da un lastrone all’altro del marciapiede senza pestarne le righe.

E salta a piè pari dal cordolo quando arriva in fondo. I vicini che lo salutano ricevono in cambio un grugnito. Nessuno suona mai il campanello. D’altronde lui farebbe fatica a sentirlo perché si muove per la casa con una radio portatile in bilico sulla spalla, una radio che spara solo canzoni anni Sessanta, sempre le stesse. Da qui il soprannome di Giovannino lo stereofonico.

Un giorno il campanello ha suonato più volte e io l’ho avvertito che c’era qualcuno alla porta. È subito arrossito come un peperone e si è avvicinato all’ingresso senza mollare lo stereo. In mezzo a quel frastuono si è trovato di fronte una ragazza con delle carte in mano. Era una rilevatrice del censimento che cercava di farsi capire. Lui, tremando come una foglia, l’ha investita a male parole poi è scappato dentro. Sono intervenuta io a spiegare alla ragazza la situazione. Lui, il piccolo Hitler, era dentro con la sua musica e non smetteva di tremare.

Oggi è giorno di paga. Conosco bene, ahimè, il rituale. Mi farà sedere al tavolo e conterà, tutto compiaciuto di se stesso, una per una le monete con cui mi retribuisce. Pare che non conosca l’uso delle banconote. Così tornerò a casa con una borsa pesante pesante.

E d’altra parte dove potrei trovare un lavoro come questo?






 

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