Quindicesimo incontro di scrittura creativa.

 

Anche i momenti della giornata in cui le storie vengono ambientate e quindi raccontate, hanno valore.
Il tramonto, quel momento in cui il sole, soprattutto quando visibile, scompare sotto l’orizzonte, può essere visto e percepito come una metafora della vita.
Può dividere la storia che stiamo raccontando in capitoli dove ogni tramonto dei protagonisti scandisce il tempo delle decisioni, delle indecisioni, delle emozioni, delle paure.
I colori che accompagnano questo fenomeno atmosferico, possono divenire gli stessi che sentiamo risuonare in noi perché associati a tramonti personali, quelli di un progetto, di un sogno, di un mito.
Il tramonto però, segue o precede l’alba (dipende da che parte lo si osserva).
Se uno, non ci sarebbe neanche l’altra.
P.C. nel suo racconto dal titolo: «Tramonto» ce ne offre un esempio.


Tramonto.
di P.C. 

Oggi è il giorno perfetto, sì, oggi le chiederò se vuole diventare mia moglie. Questo meraviglioso tramonto mi darà una mano, farà da cornice a una proposta che per troppi anni non ho avuto il coraggio di farle.

Non so perché non ho mai voluto che fosse mia moglie. Era comodo così, senza dover prendere decisioni, senza dover affrontare la vita a due con le sue incognite e le sue incertezze. Ma ora le cose sono cambiate e sento che ce la posso fare. Eccola! È già seduta sulla nostra panchina e mi aspetta.

I colori del sole che scende la colpiscono come le luci della ribalta di un palcoscenico. Esiste solo lei sulla scena e pazienza se dietro, come una quinta poco curata, disegnata male, si staglia il carcere. Anzi le mura scure fanno risaltare la sua figura vestita di bianco.

Cambia abito con il mutare del colore dei raggi che la colpiscono: ora è vestita di rosa e il suo viso è dolce, ora è vestita di giallo, sorride allegra, ora di arancione e sembra che stia per scoppiare in una risata e poi il suo vestito è rosso e la sua espressione è seria. La guardo da lontano. Mi aspetta come ha fatto, quieta, senza chiedere niente, per tanto tempo. Ora il viola la avvolge mentre mi guarda inginocchiarmi di fronte a lei. È un’impressione mia o i suoi occhi chiari, nei quali si riflette l’ultimo sprazzo di tramonto sono tristi?

Tiro fuori dalla tasca la scatolina, la apro, le porgo l’anello. “Vuoi sposarmi?” le chiedo. Gli ultimi raggi del sole si riflettono sulla pietra, che emette bagliori di luce fredda come freddo è il suo sguardo. Ancora più fredda è la sua voce quando risponde, gli occhi fissi nel tramonto che si spegne “No, mi dispiace! Ti lascio libero.” La mia mano scatta fulminea. Lo schiaffo è preciso, duro. La sua testa sbatte forte contro lo schienale della panchina. Lei non si muove più e nemmeno io, inebetito da quello che ho fatto. Il sole ormai è tramontato sulle nostre vite.

I miei compagni dicono che sono fortunato, perché i raggi del sole, al tramonto, s’infilano nella mia finestra e colorano tutto di rosa, rosso, giallo, arancione e viola, me compreso quando mi ci metto davanti. È l’unico momento in cui questa orribile cella, dove tutto è grigio, anche la mia tuta e la mia faccia, prende vita e sembra quasi un posto dove un essere umano potrebbe cercare di sopravvivere.

Ogni giorno aspetto quel tramonto e ci annego dentro. È un momento per me solo, in questo casino che è il carcere. “Guarda il tramonto dalla finestra della tua cella,” dice quella cretina di Stefania ogni volta che ci vediamo, “io lo guarderò dalla finestra di casa mia e ci sembrerà di essere insieme!” Non ha ancora capito, la povera stupida, che, sommerso dalle sue lettere, dalle sue dichiarazioni d’amore, l’ho sposata solo per usufruire delle visite affettive; una volta al mese con una donna, anche un cesso come la Stefania, è sempre meglio che diventare, per necessità, uno che se la fa con gli uomini. faticare. Ma tutte le volte che mi viene a trovare mi tormenta perché le racconti come ho ucciso quella donna, e mi chiede, e vuole tutti i particolari mentre io non voglio ricordare e sono contento quando se ne va. Oggi, però, il tramonto è particolarmente rosso e m’ipnotizza; non riesco a distogliere lo sguardo e mi perdo nelle macchie sanguigne che lascia sui muri bianchi della cella e su di me. Fisso quelle macchie fino a quando non si scompongono nelle stesse mille macchie lasciate dal sangue che è schizzato quando ho sgozzato quella donna, che si sono sparse sulle pareti bianche della sua cucina e su di me.

E anche gli altri colori del tramonto parlano di lei, il giallo rilucente ricorda i suoi capelli biondi e i suoi gioielli, quelli che le ho strappato dal collo, dalle dita, dalle orecchie, dalle braccia prima di scappare, il caldo arancione richiama alla mia mente il suo vestito estivo, scollato, di donna elegante, della buona società. E mentre sono prigioniero di questo ricordo che non voglio ricordare, il tramonto se ne va; resta solo il nero, quello dei suoi occhi che mi fissavano attoniti e senza vita.

Tutto è finito, in quel buio, sono finalmente libero.




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