ventesimo incontro di scrittura creativa
I ricordi possono affiorare
spontaneamente, oppure essere sollecitati.
Quando viene assegnato un esercizio,
ogni partecipante al corso lo interpreta come meglio crede, anzi il mio suggerimento
è quello di seguire «la pancia» e scrivere di ciò che la prima sensazione
provata, ha suggerito, o tentato di suggerire.
Succede così che i titoli siano
interpretati in modo diametralmente opposto a seconda del momento, dell’umore,
dal desiderio di condividere esperienze reali o di creare racconti di fantasia,
che contengono sempre qualcosa di effettivo e di vero.
Quando i ricordi sono «forti» e la
necessità di riportarli su carta sono intensi, suggerisco sempre ai miei
allievi di «mascherarli» creando un equilibrio tra realtà e fantasia narrative,
in modo da poter raccontare ciò che è importante senza svelare ciò che è vero e
ciò che non lo è.
Qualche settimana fa, sono stati i
partecipanti al corso ad assegnare ai colleghi un titolo.
In questo modo si sono attivate due
aspettative (che per altro sono sempre presenti tra lettore e autore di un
testo) quella di chi scriverà e quella di cui leggerà.
Compagni di scuola, compagni di nienteDi M.M.
Si aprono, a volte, specie la sera, quando il
sonno non arriva, dei vortici nel tempo che ti conducono in luoghi, situazioni,
avvenimenti che credevi dimenticati. Invece nulla si distrugge. Basta, a volte,
un profumo, un sapore anche, il gesto inconsapevole di qualcuno che ti sta
accanto e rivedi, come se ti stesse davanti, un sorriso, un volto, una persona,
un ambiente accompagnati dallo stupore o dalla gioia oppure anche dall'
inquietudine di allora.
Ed eccoli, sono tutti lì, come un tempo.
Negli ultimi banchi gli sfaticati, un paio di
ripetenti, gli amanti dei fumetti che essi nascondono tra le pagine di un libro
di testo e leggono con passione occupando in questa attività gratificante quasi
tutte le cinque ore di lezione. Gli insegnanti non se ne accorgono? Oh, sì lo
sanno benissimo cosa avviene nella "terra di nessuno" come è definita
l'ultima fila di banchi.
I Prof hanno messo in atto tutte le strategie
possibili. Prima le minacce ("Faccio intervenire il \ la preside; portami
il diario, convoco i tuoi genitori, ti sospendo con obbligo di frequenza e via
discorrendo) poi i toni concilianti, le promesse (Tu non capisci: questo è il
tuo tempo migliore, perché lo vuoi buttare così? Devi fidarti di me: io posso
volere solo il tuo bene. Ascoltami: un
giorno rimpiangerai di non averlo fatto) Ti aiuterò a prendere questa licenza
media: tu sai che non potrai mai lavorare, in regola secondo la legge, se non
avrai quello che tu chiami "pezzo di carta" ed evito di dire ciò che
tu hai affermato riguardo alla funzione del medesimo. Le parole scivolavano via
come su di una lastra di cristallo messa in verticale: non lasciavano traccia,
neanche quella "a bava di lumaca”.
Procedendo dagli ultimi banchi verso i primi
il paesaggio umano-chiamiamolo così- cambia radicalmente. Qui siedono gli alunni
per bene, quelli che frequentano con profitto, fanno sempre domande
intelligenti, ma anche coloro che si fanno spiegare di nuovo (magari pi di una
volta) ciò che non hanno capito. Sì, perché non sono tutti bravi,
superintelligenti, che apprendono senza fatica e questo impegno, malgrado le
difficoltà, a volte, di comprensione torna a loro merito.
C'è poi buffone di corte, quello che fa
ridere tutti con l'imitazione degli insegnanti, che avviene di solito nel
cambio dell'ora, quando un docente esce dall'aula ed un altro di altra
disciplina, arriva.
Come ci faceva ridere Gianluca non la
dimenticherò mai.
Li ricordo sì, ed i tre anni passati con loro
talvolta sono ancora qui, con me. Non mi ero certo posta, all’ora, la domanda:
"e dopo? Dopo la licenza media che sarà di questo gruppo?".
La vita era quella che stava cadendo, non
quella che sarebbe venuto, Al dopo non ci pensava nessuno di noi - credo.
La vita dei ragazzi è il presente, il qui e
ora.
Ma il tempo passa: entità invisibile di cui
si vedono però gli effetti. Solo dalle tempie che si fanno grige, dalle rughe
che chiudono come in una parentesi la bocca e rimangono anche quando non
sorridi più, dai passi che si fanno più lenti, solo dai "segni" il
tempo, il suo scorrere, si evidenzia.
E dal dimenticare.
Ma quest'ultimo evento di cui appunto autore
è il tempo non sempre accade. Anzi, con gli anni si dimenticano le cose del
giorno prima, è vero, ma tornano spesso le immagini del passato.
E' come se, avvicinandosi all'uscita, si tornasse
con un giro su se stessi all'entrata.
Ed eccoli i miei compagni di scuola, non
quelli dei superiori ma quelli delle elementari e medie, quelli di tempi più
innocenti, inconsapevoli e felici.
Non li riconoscerei incontrandoli. Anzi, è
accaduto. Per strada, di ritorno a piedi da una piccola spesa dal supermercato
vicino, mi sono sentita chiamare: davanti a me c'era un anziano signore
sconosciuto. "Sì" affermai senza aggiungere altro. Non sapevo cosa
dire. L'anziano, con la delusione dipinta sul volto "Ma come -disse- sono
Giovanni G." (sottinteso: io ti ho riconosciuta subito tu no). Il nome mi
aiutò a collocare quel vecchio signore nel quarto banco della prima fila,
classe terza C di Spinetta Marengo. Un bambino bellissimo, biondo, con grandi
occhi occhiazzurro fiordaliso.
Per nascondere la commozione e gli occhi
umidi di lacrime lo abbracciai dicendo: "Oh, Giovanni, quanto tempo! Però
siamo in gamba tutti due "Sperai, per lui, che fosse vero. Con mio grande
sollievo disse: "Sì, sì, sono pensionato ma lavoro più di prima. Ho un
orto grande che mi impegna molto e poi mi occupo dei miei nipotini: Giorgio di
otto anni e Chiara di cinque, perché tutti i due genitori lavorano. Ma, sai, io
sono contento. I bambini sono vivacissimi e mi stancano, ma lo stare con loro
non mi permette di invecchiare qui " e con due dita si toccò la testa. E
poi quasi esitando, come se si vergognasse o dispiacesse, chiese: "E gli
altri? ne vedi qualcuno?" Rimasi in
silenzio qualche secondo e poi decisi che la verità era la cosa migliore, anche
perché, se avessi mentito, avrei poi dovuto inventare incontri, contatti mai
avvenuti (e continuare a mentire).
"No Giovanni, non ho visto più
nessuno" e lacrime mi facevano groppo in gola. "Neanch'io" disse mentre gli occhi
gli si ingrigivano di tristezza. "Ci siamo persi, Giovanni. Completamente.
Se non ci penso è come se quegli anni e le persone che c'erano dentro non
fossero mai esistiti ma se, talvolta un ricordo si affaccia provo un grande
dispiacere. Io credo che nessuno di noi si faccia ormai più avanti nel cercar
di contattare qualcuno dei nostri perché si vergogna. Sì, io mi vergogno del
tempo che ho lasciato, sto lasciando trascorrere. Non si osa più. Una
telefonata, un biglietto di auguri a Natale, Pasqua...Questa era un'abitudine
affettiva che andava coltivata fin dall'inizio. Adesso è tardi, tardi per
tutto. Abbiamo condiviso anni di scuola, ma poi più nulla. Della complicità di
allora, delle confidenze di un’età difficile - si stava diventando grandi - non
è rimasto più niente."
Brava! Sono felice di averti dato questo titolo; mi hai fatto ricordare con affetto i miei compagni di scuola. Grazie!
RispondiEliminaBellissimo delicato e vero, come sempre M. ci commuovi e ci insegni. Nicoletta
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