Ventitreesimo incontro di scrittura creativa.
Creare un personaggio potrebbe essere
più difficile del previsto.
Non perché manchino le idee, ma perché ci
sono delle difficoltà difficili da concretizzare e superare.
Prima fra tutti quella di dare
vita al protagonista di una storia che sia efficace perché esistete una
correlazione fortissima tra personaggio e trama.
Nella maggior parte dei casi però, gli
autori, concentrano la loro attenzione sulla fisicità e il carattere nel presente delle loro
creazioni rispetto a quanto vogliono narrare, sottovalutando altri parti
essenziali quali:
- da dove «arrivano» (il loro essere prima
di …)
- dove vanno (obiettivi consapevoli o
meno)
- gli aspetti negativi (non siamo solo
buoni o solo cattivi)
- i conflitti interiori
- le loro bizzarrie
Un personaggio bizzarrodi E. B.
Quando sei adulta ogni cosa sembra avere
una sua collocazione. La tua vita è talmente impostata che tutto viene definito
in pochi atti che si ripetono uguali ogni giorno. Tutto scorre, immagini,
suoni, colori che si ripetono senza lasciarti il tempo di distrarti. Neanche di
pensare a quando abbiamo smesso di stupirci di fronte a qualcosa. La necessità
ci spinge a precipitare in un gorgo che ci frulla a dovere, dove tutto ci
appare come dovrebbe essere.
Per fortuna non è sempre stato così.
Quando ero bambina la meraviglia e lo
stupore avevano il sopravvento sui condizionamenti. soprattutto nelle mie
vacanze estive dove gli impegni venivano archiviati e tutto era un viaggio
verso mondi se non proprio sconosciuti per lo meno diversi dalla routine.
Dal profondo nord, la provincia “granda”
contadina e benestante, mi spostavo alla punta estrema dello stivale che negli
anni sessanta aveva una struttura ancora antiquata dove le convenzioni sociali
non erano così rigide come al nord. Un mondo diverso che portava alla luce una
serie di persone a cui non ero più abituata.
E sprofondavo in quel mondo come Alice
nel paese delle meraviglie in quella sfilza di personaggi bizzarri che
incontravo ogni giorno e che sembravano uscire dal cappello di un
prestigiatore.
C’erano le comari sedute sull’uscio di
casa che facevano l’uncinetto parlando una lingua a me sconosciuta, e
nonostante capissi il dialetto erano poche le parole che riuscivo ad
estrapolare.
C’era la donna con la sua gonna ampia e
fuori moda che vendeva le ricotte fresche e con il cesto in testa spuntava
traballante in cima alla strada per fermarsi poi davanti alla casa di mia nonna
dicendo di affrettarsi a comprare le sue meravigliose ricotte.
Io scendevo in strada, era un rito che
non perdevo mai.
Lei poggiava la cesta per terra, il
panno attorcigliato in modo da formare un’imbottitura a forma di ciambella, che
aveva sorretto fino a quel momento la cesta, spariva nell’ampia tasca del
grembiule.
Si asciugava il sudore con un altro
panno e sorrideva a tutti mostrando senza vergogna una bocca in parte sdentata.
Mia madre scendeva, la signora tirava
fuori dal cesto le fuscelle in vimini e con un unico gesto faceva scivolare le
ricotte sul piatto.
Poi rimetteva la cesta in testa e
traballante riprendeva il cammino e svaniva oltre la curva.
Ed infine c’era Peppino “u stortu”, il
gigante bambino che tutti i giorni passava impettito alla stessa ora , senza
rivolgere la parola a nessuno, parlando tra sé e sé.
“È passato l’ “allampanatu” “.
Noi bambini ridevamo al suo passaggio,
imitando la sua camminata. E nonostante il suo sguardo fosse perduto chissà
dove, le sue labbra sorridevano, era un mondo che noi non capivamo ma che lo
rendeva felice.
E quando mia nonna mi riprendeva
spiegandomi di non prenderlo in giro perché era una persona più sfortunata di
noi io la guardavo sorpresa.
“Nonna sorride, ed ogni tanto quando
parla ride. A me sembra felice” le rispondevo.
“ Lo sai, hai ragione” mi diceva e
rimandandomi ai miei giochi i suoi occhi brillavano.
Qualche anno dopo quando sono tornata
dopo una lunga assenza, non ho più ritrovato quei personaggi, che assieme ad
altri, avevano colmato la mia infanzia di sorprese e ammirazione. Qualcosa si
era perso nel progresso e nella maturità e non rimaneva che il ricordo a
mantenere la poesia..
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