Buon fine settimana!

 

In qualunque posto del mondo
di Patrizia Cancelliere

Naturalmente sapeva come si chiamava la cameriera e chiacchierò con lei mentre raggiungevano il tavolo accanto alla finestra. E poi si dispose tranquillamente ad aspettare Gloria; quella benedetta donna era sempre in ritardo! 

“Te lo dico io! Quella era una vera stronza!” Maria, impettita sulla sedia, si faceva le sue ragioni con veemenza. “Lo ha fatto apposta a farmi coniugare il futuro semplice di ‘irrorare’ ben sapendo che avevo la erre moscia. Io ero capace, perché ero una secchiona, ma non ho risposto. Poi ho dovuto scegliere fra la derisione sicura e l’insufficienza sicura e ho cominciato, ‘io ivvovevò, tu ivvovevai ..’ e la classe, come temevo, è esplosa in un boato di risate. E allora tu sei saltata su e le hai chiesto perché non mi aveva chiesto di coniugare ad esempio ‘fischiare’ o ‘ballare’ o ‘mangiare’ o ‘poppare’ che hanno una erre sola. Lei, arrabbiatissima, ha detto che voleva insegnarci un verbo nuovo ma i suoi occhi ti volevano … incenevive! Vedi perché sei diventata un avvocato famoso, eri predisposta. E io, grazie a quell’esperienza, poi sono andata dalla logopedista e mi sono tolta quella evve moscissima. È proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere.”

Maria rideva forte, dai tavoli vicini qualcuno le lanciava occhiate stupite. Gloria se la guardava con affetto. Si vedevano più o meno una volta all’anno e ne avevano tante di cose da raccontarsi e ricordare. Era sempre Gloria che la raggiungeva, ovunque si trovasse, e quella giornata, rubata alla quotidianità, che passavano insieme era un’iniezione di gioventù e anche di ottimismo, Maria sarebbe riuscita a risollevare il morale anche ai sassi.

Quel giorno era scatenata, Maria. “E ti ricordi di quella volta che non volevi dare lo scritto di inglese perché dicevi che non sapevi niente, cosa peraltro verissima? Ci sono andata io al posto tuo. Abbiamo passato un pomeriggio a togliere la tua foto dal libretto universitario e a metterci la mia, a falsificare i timbri. Fortuna che l’aula magna era enorme e pienissima e nessuno ci conosceva. A rischio di essere cacciate con disonore da tutte le università italiane!”

“Mi hai preso solo 27, potevi anche impegnarti di più!”, aveva ribattuto Gloria, e questa volta era toccato a lei ridere di cuore ricordando la migliore performance della loro turbolenta gioventù. “Sei un’ingrata!” aveva tuonato la migliore amica di una vita asciugandosi gli occhi che lacrimano per le risate con il tovagliolo del bar.

Approfittando della pausa, Gloria le aveva allungato la solita busta, spessa. “Questi sono per i tuoi bambini”, anche la frase di accompagnamento era la solita. L’amica l’aveva ringraziata con un sorriso e aveva fatto sparire la busta in una delle grosse tasche nascoste. Toccava a Gloria rilanciare, questa volta, e si era giocata il carico da undici “Mi sono sdebitata quella volta che il docente, abituato a vederci sempre insieme, ha cominciato a interrogare anche te durante l’esame collettivo di letteratura, al quale non ti eri iscritta perché non avevi studiato, ti ricordi?” “Ma certo, quella fu una grande interpretazione, sono un’artista!” Aveva ridacchiato Maria dall’alto del suo ego ipertrofico. “Ma quale artista, hai letto tutto dal mio quaderno di appunti, che avevo prontamente aperto dietro una pila di libri e ti giravo anche le pagine.” “Ma poi ne hai girate due insieme!” aveva protestato Maria scandalizzata, “e ho dovuto inventarmi qualcosa per spiegare come mai ero saltata da un argomento all’altro!” Ridevano forte, scomposte, e le tazzine sul tavolo correvano il rischio di finire per terra. Poi Gloria si era alzata, aveva raccolto la borsa.  “Devo andare,” aveva detto, “tra poco ho il treno. Ci vediamo fra un po’ di mesi, fammi sapere se ti spostano. Ormai sei in questo paesino da parecchio tempo.” Maria, anzi, Suor Maria, perché non aveva nemmeno dovuto cambiare nome, si era aggiustata il velo che era finito sulle ventitré. “Anch’io devo andare, è tardi… per la prossima volta… non so… forse vado in Congo, c’è un’epidemia.” “In Congo? Ah, ok, ma uffa, sempre più lontano!” si era lamenta Gloria. E poi, sbrigativa, “vabbè, fammi sapere; se lo prendi per tempo, il biglietto aereo costa meno!”





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