Il racconto di Patrizia Cancelliere

 

Il piccolo cuore rosso
di Patrizia Cancelliere 

 

L'uomo teneva un binocolo in mano. Cominciò così: con un uomo in piedi sul ciglio della strada, sopra un'altura che dominava un paesino, (...) in una notte di inverno.  

Da quella notte, ogni notte, lui, la personificazione dell’ossessione, tornava lì, nello stesso posto e alla stessa ora. Con pazienza, attendeva che le finestre si illuminassero. Aspettava quasi immobile, tenendo il binocolo con il braccio teso lungo il corpo, rigido ma pronto a scattare verso gli occhi, l’altra mano in bocca, a rosicchiarsi le unghie fino farle a sanguinare, godendo contemporaneamente dell’attesa e del dolore che si infliggeva. Quel punto di osservazione era perfetto, non poteva desiderare di meglio; lo aveva individuato dopo tanti sopralluoghi cercando pazientemente un varco fra gli alberi lungo le pendici della collina che gli permettesse di vedere la casetta solitaria costruita al limitare del paesino. Incurante del freddo, del caldo, del tempo che passava, non perdeva di vista quelle finestre che davano sul bosco, le cui imposte non venivano mai chiuse, spiragli generosi e comprensivi che, però, gli permettevano a malapena di soddisfare il bisogno di lei che diventava ogni giorno più impellente. Da tempo seguiva la sua vita, da quando l’aveva incontrata alla festa di compleanno di sua cugina, alla quale lui era stato invitato soltanto per non offendere sua madre. Si era seduto, vergognoso, in un angolo e, mentre tutti si divertivano e cercavano di ignorare la sua presenza, lei si era avvicinata e gli aveva parlato. 

Quando si era allontanata, erano rimasti il suo sorriso e il suo profumo e lui aveva capito che non avrebbe più potuto farne a meno. Aveva cominciato a carpire ogni tanto un po’ della sua vita per poterla assaporare di riflesso, per non esserne escluso. 

Tutto il paese lo derideva ma lei no, era sempre gentile con lui. Fino a quando non aveva cominciato a telefonarle per sentire la sua voce. 

Le prime volte ripeteva “Pronto! Pronto!” parecchie volte e lui ascoltava emozionato, la gola chiusa e il respiro pesante, incapace di emettere un suono, poi, con l’aumentare delle chiamate, si era irritata sempre di più fino a quel pomeriggio quando, esasperata, gli aveva gridato “Lasciami in pace! Non chiamarmi mai più! Non ti voglio più vedere!”

E lui, come avrebbe potuto continuare a vivere senza vederla, sentirla? Sembrava contenta delle sue attenzioni e ora, all’improvviso, lo cacciava. Mentre i denti mordevano nervosamente la pelle delle dita e avvertiva in bocca il gusto del suo sangue, si sentiva sempre più triste.

“Non ho niente di lei”, pensava, “qualcosa di suo, che io possa toccare, stringere, annusare, che mi possa consolare quando la solitudine diventerà insopportabile.” Nel mentre le finestre si erano illuminate, il binocolo, come sempre, era scattato davanti agli occhi per non perdere nemmeno un fotogramma di quella vita che amava. 

Cucina, bagno, camera da letto, ormai conosceva le sue abitudini. Si sarebbe cambiata e sarebbe uscita con il cane per fare jogging. L’immagine del piccolo cuore rosso tatuato sul suo collo, che sembrava pulsare al ritmo della corsa, era apparsa davanti ai suoi occhi e aveva invaso la sua mente. 

Quante volte lo aveva ammirato, un piccolo rubino incastonato nel suo collo morbido, mentre la osservava di nascosto! Sì, quello sarebbe stato un perfetto ricordo di lei! All’improvviso aveva gettato il binocolo sull’erba fredda e aveva cominciato a scendere verso quella casa proibita. Chiuso nella sua tasca, il pesante coltello a serramanico, a ogni passo, sbatteva contro la sua coscia.




 

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