Il racconto di Patrizia Cancelliere
Buongiorno e buon inizio di settimana che il nuovo racconto di Patrizia.
L'incipit è tratto da Ritorno a Peyton Place un romanzo scritto nel1959 da Grace Metalious e sequel di I peccati di Peyton Place del 1956 opera di esordio dell'autrice e suo bestseller.
L'inverno a volte arriva per gradi, con un
susseguirsi logico e ordinato di mutamenti, nel tempo e nella stagione, e quando viene la prima neve, non si è
sorpresi, perché l'attesa dura da molto.
La fioca e la puciacadi Patrizia Cancelliere
L'inverno a volte arriva per gradi, con un susseguirsi logico e ordinato di mutamenti, nel tempo e nella stagione, e quando viene la prima neve, non si è sorpresi, perché l'attesa dura da molto.
Secondo Marina, però, quell’attesa durava veramente troppo.
La stagione che lei amava più di tutte era l’estate ma, da bambina pratica quale era, una volta che era finita, non sprecava il suo tempo a rammaricarsene e si metteva ad aspettare la neve, il suo fenomeno meteorologico preferito. Fin da quando arrivavano le prime piogge autunnali, cominciava ad informarsi presso gli adulti di casa: “oggi piove, vuol dire che presto arriverà la neve?” chiedeva, speranzosa.
La sua informatrice preferita era la nonna che, per via di un ginocchio che le faceva male solo in certi momenti, sapeva sempre se il tempo sarebbe cambiato. Era un tipo deciso e senza fronzoli, la vecchietta, parlava solo in dialetto e passava sulle speranze di Marina con la grazia di un caterpillar.
“A setember el fioca mai!” sentenziava
decisa. Forse, al giorno d’oggi, non se la sarebbe sentita di essere così
sicura nel dare i suoi responsi ma, a quell’epoca, le stagioni avevano un
comportamento più educato e quindi Marina poteva prendere per certe le
previsioni della nonna.
Grazie a lei aveva imparato qualche parola di dialetto e anche che i mesi in cui nevicava di più erano dicembre, gennaio e febbraio. Quindi, aveva ragionato Marina, il massimo dello sballo è quando nevica intorno a Natale! E quell’anno, il 21 di dicembre, Marina si era svegliata, aveva guardato dalla finestra tutto quel bianco che le riempiva gli occhi ed era stata finalmente felice.
Era corsa sul terrazzo, la giacca sul pigiama e i piedi nudi dentro gli stivaletti rossi di gomma, e girava su se stessa come un derviscio rotante, con la bocca spalancata a catturare i grossi fiocchi freddi che le si scioglievano sulla lingua.
“Sa masnà l’è luca!” aveva sentenziato la nonna, guardandola con disapprovazione. Poi aveva raccolto un po’ di neve nel bicchiere, l’aveva fatta sciogliere e aveva mostrato, impietosa, a Marina l’acqua sporca che era rimasta sul fondo.
Marina aveva deciso là per là che non avrebbe mai più mangiato la neve ma poi le era sorto un dubbio: “Nonna,” aveva chiesto, “ma a te piace la neve?”
“La fioca la’m pias, ma la puciaca no!” Puciaca? Una parola nuova dal significato non tanto bello, a giudicare dal tono. E che cos’era? Non era più il caso di chiedere alla nonna che, arcigna, a braccia conserte, guardava i grossi fiocchi come se avesse voluto incenerirli e, quindi, Marina si era rivolta alla mamma che le aveva spiegato che la nonna non amava la neve calpestata e sporca che, di sicuro, domani avrebbe sostituito sulle strade quella di oggi, così bianca e pulita.
La mamma, però, era saggia, le voleva bene e, soprattutto, aveva dovuto difendersi per tutta la vita dalla terrificante razionalità di sua madre e quindi le aveva dato un consiglio. “Tu corri a giocare nella neve fresca, che ti piace tanto, guardala imbiancare i tetti delle case e decorare gli alberi, trasformare le recinzioni in pizzi e le automobili in torte alla panna e, quando sarai costretta camminare nella puciaca che è diventata, te la ricorderai bella bianca com’era e sarai contenta di averla aspettata così tanto.”
Marina non lo sapeva ancora ma, negli anni a venire, avrebbe seguito
quel consiglio mille e mille volte, imparando a desiderare le cose, ad
apprezzarle quando le aveva e a ringraziare per averle avute quando le perdeva.
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