Il racconto di Patrizia Cancelliere

 

Domande e risposte
di Patrizia Cancelliere

Le Breton, Le Breton…, non fu lui a dire che una storia ben ordinata dovrebbe cominciare con la nascita del protagonista? Nel mio caso scordatevelo. Non solo perché non è detto che sia io il protagonista di questa storia ma anche e soprattutto perché ho deciso di parlarvi di mio nonno, una persona che ho conosciuto già vecchia e della quale, com’è abbastanza normale, non sono mai riuscito ad immaginare non solo la venuta al mondo o l’infanzia ma nemmeno la giovinezza.

Era un uomo di aspetto imponente, con una criniera leonina di capelli sale e pepe ma una barba ben più chiara, quasi bianca. Incuteva soggezione per lo sguardo serio, severo, col quale scandagliava il mondo e le persone. I suoi occhi neri si addolcivano raramente ma sempre quando si posavano su di me. Non avevo molta confidenza con lui, che era una figura misteriosa nella mia famiglia.

Quando ho raggiunto l’età delle domande, questo strano anziano di poche parole che girava per casa chiuso nei suoi pensieri, così diverso dai nonni dei miei amici, è diventato la mia curiosità principale che dovevo soddisfare ad ogni costo.

Temendo la sua reazione di fronte alle mie domande inopportune, ho cominciato col sondare mia madre, sua figlia, ed ho scoperto che il nonno era stato in guerra in Russia e che questo lo aveva profondamente segnato.

Che forte! Era stato un soldato, magari un generale, magari gli avevano dato una medaglia. Magari aveva ucciso qualcuno, era un eroe. 

A quell’epoca giocavo tutto il giorno con i soldatini ma non pensavo che in guerra le persone morissero sul serio sotto bombe vere, imbracciando fucili veri. Insomma, ero un piccolo stupido ingenuo fanatico guerrafondaio!

Ogni volta che il nonno mi sorprendeva a giocare alla guerra si allontanava in fretta, borbottando fra sé e sé e non avevo mai la possibilità di coinvolgerlo sfruttando le meravigliose conoscenze che, sicuramente, doveva avere in campo bellico.

Un bel giorno ho scambiato il cuscino della sua poltrona con uno più basso, in modo che non riuscisse ad alzarsi facilmente, ho trascinato una sedia davanti a lui, ginocchia contro ginocchia, e ho cominciato con una astuta manovra di avvicinamento.

“Nonno, come mai i tuoi capelli sono grigi ma la tua barba è bianca?” ho chiesto con indifferenza. E lui, serissimo, “Perché mi lavo la faccia tutti i giorni ma i capelli due volte alla settimana!”

Andiamo bene, ho pensato, è di buon umore, è il momento giusto per sferrare l’attacco.

“Mi racconti di quando eri in guerra in Russia, per favore? Hai sparato? Hai ucciso qualcuno? Sei un eroe? Ti hanno dato una medaglia?”

Ora, ripensandoci, mi rendo conto di quanto fossero crudeli quelle domande e ancora oggi me ne vergogno, sia pure concedendo, al maledetto curioso che ero, le attenuanti generiche dell’ignoranza e della giovane età. Il viso del nonno ha cambiato espressione e i suoi occhi, per un lungo momento mi hanno guardato con rabbia, spaventandomi.

Poi, recuperata la calma, mi ha raccontato del freddo che morde la carne giorno e notte, di come un paio di calze fatte con la pelliccia di coniglio, confezionate da suo padre, che faceva il ciabattino, gli avessero salvato i piedi dal congelamento, dei suoi diciotto anni violentati e calpestati dal terrore e dalla voglia struggente di casa e di come si fosse legato in vita una cassetta piena di sigarette, presa da un camion della sussistenza che si era rovesciato, e l’avesse trascinata nella neve durante la marcia infernale della ritirata, scambiando le sigarette con il cibo.

Poi si è alzato a fatica dalla poltrona nella quale era sprofondato, ha preso un libro dalla libreria e me lo ha consegnato dicendo “Non ti racconterò più niente altro perché per me è troppo doloroso ma lo farà Remarque al posto mio perché è tempo che tu cominci a capire.” Mentre lo rigiravo fra le mani e leggevo il titolo, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, da un’anta dell’armadio il nonno ha tirato fuori una enorme scatola colorata, sopra c’era scritto “Meccano”.

Era bellissima! “È il mio regalo di Natale per te,” ha detto sorridendo, “manca ancora qualche giorno ma questo è il momento giusto per dartelo, perché tu impari a creare invece che a distruggere!”

Oggi sono un uomo che odia la guerra e, incidentalmente, anche un ingegnere.

Mi piace pensare che il merito di ciò che sono diventato vada in parti uguali al nonno, a quel libro e a quel gioco.



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