Il racconto di Patrizia Cancelliere
Il
fiume delle barchette coloratedi Patrizia Cancelliere
C'era
una leggenda che gravava sul quel posto. Una di quelle che si appiccicano ai
luoghi come un odore persistente. La zona fra le due grandi anse veniva
chiamata da tutti “il fiume delle barchette colorate”. I vecchi del paese,
soprattutto dopo qualche bicchiere di quello buono, giuravano di averle viste.
Raccontavano che, trascinata a valle dalla corrente, la lunga collana di
barchette di carta multicolori si snodava sull’acqua soprattutto nei roventi
pomeriggi estivi quando il sole a picco, la canzone ipnotica delle cicale, le
zanzare, l’odore pungente del fiume, intorpidivano i sensi. Appena la si
scorgeva, la stranezza di quell’immagine spingeva ad aguzzare la vista e allora
i colori si confondevano e si mescolavano ai riflessi sull’acqua, le barchette
apparivano, sparivano o, forse non c’erano mai state. E, sempre, in quel
momento si alzava un vento caldo che non portava refrigerio ma che, scivolando
tra le foglie degli alberi con folate umide e pesanti, risuonava come un
lamento che faceva accapponare la pelle. Inquietava, spaventava ma anche
affascinava, quella visione. Si raccontava che, nel passato, alcuni bambini che
giocavano sulla riva, si fossero immersi per cercare di acchiapparne almeno una
da mostrare orgogliosamente ai compagni più timorosi e non avessero mai più
fatto ritorno, forse trascinati verso il basso dai pericolosi mulinelli o forse
acchiappati dalle mani della bimba che, secondo la leggenda, aveva costruito
quelle barchette, affidandole al fiume, ciascuna portatrice di un messaggio
d’amore per la madre morta.
Ancora
oggi i bambini del paese, nonostante lo scetticismo con cui si raccontava
questa storia, avevano il divieto assoluto di bagnarsi in quel punto.
La “Lucy” filava al centro del fiume, spinta da nervosi colpi di remo. Letina era seduta, composta e quieta come le avevano insegnato, al centro della panca; il cappellino di paglia gettava un’ombra traforata dal sole sul suo faccino concentrato. Soltanto i grandi occhi neri, ombreggiati dalle lunghe ciglia, tradivano la tristezza e l’irrequietudine. Le manine, svelte, piegavano più e più volte, meccanicamente, la carta colorata che aveva in grembo, fino a creare una barchetta che, poi, andava a raggiungere le altre intorno ai suoi piccoli piedi, nudi sul fondo di legno. Il suo papà, che lei adorava, le aveva promesso che l’avrebbe portata a fare una gita sul fiume, dove spesso andavano anche con la mamma che era morta pochi mesi prima gettandoli nella disperazione. Di lei si occupava la tata che le voleva bene; anche Letina l’amava, ma la mamma era un’altra cosa! Letina sentiva acutamente la sua mancanza ma cercava di non darlo a vedere per non rattristare ancora di più papà. Papà remava con tutta la forza o, forse, la disperazione che aveva e la barca dal fondo piatto procedeva veloce al centro del fiume.
Ad un
tratto si era fermato e si era voltato verso Letina con una strana espressione
negli occhi. “Butta le tue barchette colorate adesso, bimba mia, lascia che
scendano fino al mare o forse fino alla fine del mondo, trovino la tua mamma e
le portino il messaggio del nostro amore per lei, che non finirà mai!“ La
bambina aveva ubbidito, le barchette di carta colorate si erano allargate sul
fiume e si erano un poco allontanate
seguendo,
leggere, la corrente. Poi aveva alzato lo sguardo sul suo papà e ne aveva
incrociato gli occhi resi ormai folli da un dolore insopportabile che nemmeno
l’amore per lei poteva guarire. L’uomo mormorava tra sé e sé, gli occhi pieni
di lacrime “Povera la mia bambina senza mamma e povero me, senza la luce della
mia vita. Non possiamo vivere senza di te, Lucy! Aspettaci, noi veniamo a
raggiungerti e staremo insieme per sempre!” Con uno scatto fulmineo abbracciò
la bimba e, stringendosela al petto, si gettò nel fiume e l’acqua si richiuse
sul piccolo grido di paura di Letina.
Dopo
qualche istante, sul fiume tornato placido, solo le barchette colorate
restavano a testimoniare una tragedia che sarebbe presto diventata leggenda.
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