Il racconto di Gianna Fossati
Incipit assegnato: Il sole estivo infiammava la campagna e i riflessi dorati del grano maturo si perdevano nella macchia color smeraldo della vegetazione. Tratto da: Il segno dell'aquila di Butticchi.
Andando a spigolaredi Gianna Fossati
Il sole estivo infiammava la campagna e i riflessi dorati del
grano maturo si perdevano nella macchia color smeraldo della vegetazione.
La nonna Maria aveva voluto uscire nelle prime ore del
dopopranzo, nonostante la calura. Anna la seguiva, cercando di imitarla e
osservando le luci vivide del meriggio. La macchia scura, in fondo alla strada
di polvere che avevano imboccato, era formata da gaggie e cespugli di rovo che
nascondevano appena il corso del Grue, ridotto a un fiumiciattolo tra le
pietre. Anna lo sapeva bene: ci andava di nascosto con le amiche a giocare
nell’acqua bassa.
Nonna
avanzava sicura ma cauta, sbirciando guardinga, gli occhi cerulei attenti, i
lunghi capelli fini raccolti con tante forcine in una crocchia. Anna si
chiedeva sempre come facesse a pettinarli così e ad averli in ordine per tutto
il giorno.
Passarono
vicino ad un gruppo di case dove abitavano dei parenti, ma nonna non rallentò
il passo, anzi, procedeva spedita, seguita a ruota dalla bambina. Cercava
qualcosa. Fiancheggiarono un campo di granturco non ancora maturo, un prato di
erba medica e dei filari di vite dietro i quali nonna Maria finalmente trovò
quello che cercava: un campetto di stoppie dove il grano era già stato
raccolto.
Anna
esclamò: “Di chi è questo terreno?” ma la nonna, in dialetto e a bassa voce, le
fece intendere di non parlare. Poi si chinò a raccogliere le poche spighe
rimaste, subito imitata dalla bambina che cercava in ogni modo di rendersi
utile.
Ad
ogni rumore improvviso la donna si fermava e la piccola pure, in silenzio.
Aveva ormai capito che quella terra non era dei nonni e neppure quelle spighe
che con tanta solerzia cercava di raccogliere, incurante dei suoi piedini poco
avvezzi al lavoro dei campi. Anna indossava i suoi sandaletti, quelli che per
Pasqua erano state eleganti scarpette bianche, successivamente tinte di scuro e
infine tagliate a strisce dall’abile mano del papà. Ma tra quelle strisce si
infilavano perfide le stoppie, producendo graffi che finirono col sanguinare,
Anna
si fermò a mezzo e scambiò uno sguardo con la nonna che, mortificata, visto il
disastro, esclamò: “Basta! Adesso torniamo! “Ma prima che potesse replicare
Anna fuggì in fondo alla strada e, tenendosi ai rami, scese al greto del Grue e
saltò in una pozza d’acqua fresca, sentendosi subito meglio. Adesso sì che
avrebbe potuto resistere fino a casa!
Nonna,
nel frattempo, aveva steso per terra un “panton”(*), l’aveva riempito di spighe
e ne aveva legato le cocche, collocandoselo poi
sulla testa.
Si
avviarono per il lungo rettilineo che portava in paese.
Nonna
Maria procedeva dritta come un fuso, con le mani sui fianchi e la cena per le
galline sulla testa.
Anna
la seguiva tutta fiera, pensando che la sua nonna aveva l’andatura di una
regina.
L’avrebbe
raccontato al nonno Pidren, la sera, seduti sull’uscio a contare le stelle.
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