Il racconto di Gianna Fossati.
Buona domenica con un nuovo racconto dal gruppo di scrittura creativa dell'Unitre di Alessandria.
L'incipit assegnato era: "Non so da quale facciata sporga, se c'è ancora, il balcone della balaustrata di falsa pomice con vani riempiti di girasoli in ferro battuto." Tratto da L'invenzione di Alberto Vigevani.
Non so da quale facciata sporga, se c’è ancora, il balcone
della balaustrata di falsa pomice con vani riempiti di girasoli in ferro
battuto.
La
facciata anteriore, ornata da decorazioni rétro, dà sulla circonvallazione da
cui è separata con una cancellata in stile. Attirava la fantasia di Anna ogni
volta che ci passava, incuriosita dall’andamento verticale dell’edificio
culminante in una torretta. Chi ci abitava? E perché quella torre? Osservava il
giardinetto ordinato in aiuole concentriche, ma senza un’eccessiva fioritura.
Immaginava di percorrere il vialetto centrale per arrivare al portoncino e
scoprire una realtà magica.
Un
giorno seppe che una sua compagna, Giustina, abitava nel cortile posteriore di
quella casa e che le loro madri si erano accordate perché le due bambine
svolgessero i compiti insieme.
L’intento
era che Anna, bravina a scuola, aiutasse la compagna, in difficoltà in
ortografia e aritmetica. Il risultato fu che ogni pomeriggio Anna, finiti
velocemente i suoi compiti, correva a giocare da Giustina e di studiare non se
ne parlava. All’inizio Anna martellò di domande l’amica, ma non ottenne che
risposte vaghe e la sua curiosità sulla casa non fu soddisfatta. Scoprì
soltanto che i padroni non avevano nessun rapporto di parentela con i genitori
dell’amica e che questi ultimi vivevano in una specie di dépendance, molto
modesta, come affittuari. Ebbe ragione di dubitare che la mamma di Giustina
prestasse qualche servizio per i proprietari, ma non ne ebbe conferma.
Le
due bambine trascorrevano il pomeriggio nel cortile. Giustina aveva una bici
rossa, un po’ male in arnese, che si facevano bastare in due con tanta
fantasia. Della casa conoscevano solo il muretto divisorio e parte della
cancellata, su cui Giustina si arrampicava con un’agilità sorprendente. Tennero
d’occhio il vialetto e il giardino senza mai scorgere anima viva.
Per
fortuna il gioco le assorbiva quasi completamente e distraeva Anna dalle sue
fantasie. In particolare la attraevano
le vetrate colorate di giallo e di azzurro, che si aprivano ad ogni piano in
corrispondenza delle balconate. Cosa mai vi si nascondeva dietro?
Un
pomeriggio la mamma di Giustina la chiamò per affidarle un incarico del tutto
inusuale: consegnare al secondo piano un pacchetto ben chiuso.
Le
due bambine si scambiarono uno sguardo, poi Giustina prese con cautela il pacco
dalle mani della mamma. Entrarono da una porticina posteriore. Anna bisbigliò: “Uova?”
“Boh?!”
fu la risposta. Ed entrambe pensarono a qualcosa di delicato, forse prezioso, trattenendo
a stento una risatina nervosa.
Salirono
i gradini un po’ consunti, in silenzio, prudenti, quasi sospettose. Non si
sentivano voci né rumori per la scala. Le famose vetrate, piuttosto polverose
viste da vicino, gettavano una luce verdognola sui loro volti, creando
un’atmosfera sospesa. Arrivate alla porta del secondo piano Giustina bussò
debolmente. Anna trattenne il respiro senza accorgersene.
La
porta fu aperta; mentre Giustina borbottava qualcosa di incomprensibile, una
mano di donna si tese a ritirare il pacco, poi la porta si richiuse.
Come
per tacito accordo le due piccole scesero a precipizio le scale. All’aria
aperta scoppiarono in una risata, non avrebbero saputo dire se di sollievo o
altro.
In
casa le aspettava il padre di Giustina, un omone dall’aria scherzosa; le invitò
ad assaggiare delle fragole che aveva condito con il vino. Anna, che non le
aveva mai provate, ebbe un attimo di esitazione, ma poi le gustò con piacere.
Da
quel giorno, ogni volta che ricordava la loro avventura, le sembrava di sentire
un piacevole profumo di fragole e barbera.
Commenti
Posta un commento