Il racconto di Marisa

E' difficile per un lettore stabilire cosa di ciò che l'autore scrive è reale o fantastico. Cosa corrisponde a una sua esperienza concreta e cosa invece, di ciò sta condividendo, è ispirato dal passato, dal vissuto, dalla vita.

Vi propongo il secondo testo creativo dell'estate.

Ogni sera alle sei...
di Marisa Maino

La lettera era arrivata, da parecchio ormai, quando nessuno se l'aspettava più.

Anche il desiderio di averla - quella lettera - a testimonianza che Lui c'era, era vivo, stava  per tornare  tra di  loro, si era come "impallidito" (ma "impallidisce" un desiderio? Si quando  da vivo e forte piano piano si  attenua. Come un ciottolo su di una  spiaggia, un ciottolo che  l'onda  con il suo andirivieni quasi sempre tranquillo ma talora violento e come rabbioso, trascina levigandolo, assottigliandolo, togliendogli ogni asperità  di superficie, rendendolo  sempre  più sottile e fragile).

Invece era arrivata, la lettera, e quel piccolo fuoco che languiva sotto la cenere s'era improvvisamente animato, ridiventando una entità viva, allegra, scoppiettante quando le lingue della fiamma raggiungevano i ceppi più ricchi di rami secchi.

Diceva - nella lettera - con quella sua bella grafia alta e sottile, nervosa: "Torno. Sarò da voi un giorno della prossima settimana, dopo le sei di sera".

Ogni sera , alle sei , un senso di attesa riempiva la casa , animando il lungo  pomeriggio vacuo ed irreale. 

La sofferenza di quel distacco traumatico, il dolore dell'assenza, di quello "strappo" che sembrava ormai definitivo erano svanite di colpo alla parola "Torno".

Lei guardava la lettera aperta sulle ginocchia e sorrideva, dopo tanto tempo, tra sé e sé, sorrideva e si domandava per l'ennesima volta come la grafia di lui potesse essere così simile alla sua con quelle T slanciate dove il taglio orizzontale della lettera non intersecava l'asta della medesima ma era esterna, come a sorvolarla.

Cominciava così l'attesa, difficile sempre ma, a differenza di quella che l'aveva preceduta trovava davanti a sé un lasso limitato di tempo (la prossima settimana, una sera verso le sei, un giorno: due certezze e un'indicazione vaga). Certo anche una settimana per chi aspetta può essere un tempo lunghissimo ma è definito in sette giorni. Così l'attesa ricominciò (o continuò) con a limite un orizzonte abbastanza lontano ma non infinito.

Scorrevano i giorni e sembravano sempre più lunghi anche perché le notti, quasi insonni, non spegnevano i pensieri, l'ansia.

E venne al fine la domenica ma dopo le sei non apparve nessuno.

Fu presa da una furia distruttrice: preziosi vasi finirono a terra in frammenti, così i soprammobili che le piacevano tanto perché le ricordavano i luoghi incantevoli dove li aveva acquistati.

Finì a terra anche il bellissimo drappo ricamato che ricopriva i tasti di pianoforte e che lei non aveva mai più suonato senza di lui.

Con la tela si sparpagliarono a terra centinaia di lettere che la stoffa nascondeva.

Lettere,  Lettere, Lettere,  tutte uguali, tutte dicevano: " Torno da voi un giorno della prossima settimana".

Sulla busta l'indirizzo ma non il francobollo né un timbro postale.

In un lampo di lucidità ricordò: lei aveva scritto quelle lettere mai spedite. Lei si era sdoppiata in un lui che scriveva del proprio ritorno.

Quel lui non era mai esistito.

La trovarono quando faceva ormai buio.

Precipitando dall'alto della torre su cui era salita l'ampia gonna le si era aperta attorno come l'enorme corolla di un fiore.

 


 

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