Nomen omen?
di Patrizia Cancelliere 

Un uomo affascinante, quel Giacomo Casanova, mi piacerebbe che si accorgesse di me!
Avevano entrambi 18 anni, ma Emily lo vedeva come un uomo a causa di una distorta interpretazione delle recenti parole di sua madre.  “Sei diventata maggiorenne, ormai sei una donna!” aveva affermato la genitrice, totalmente digiuna degli elementi basilari di psicologia dell’adolescenza, facendole gli auguri di compleanno. Donne, uomini, ecco cos’erano diventati, in un attimo! La presa di coscienza aveva tramortito Emily. Era una donna e quindi, secondo la sua personale convinzione, una vecchia. E, quel che è peggio, era ancora portatrice di una verginità che le pesava addosso, la faceva sentire diversa dalle sue compagne che da parecchi anni, avevano assaggiato il frutto proibito e la consideravano una sfigata. Data l’urgenza, a lungo aveva meditato di concedersi a Mario Rossi di III B che si riproponeva ciclicamente con pervicacia, in barba ai rifiuti ricevuti, causati soprattutto dalla sua  acne ostinata che lo rendeva veramente inguardabile ma, alla fine, aveva sempre desistito non volendo, in fondo, rinunciare a quel brivido, del cuore e della mente, che rende indimenticabile la tanto sospirata “prima volta”.

E il suo cuore, in effetti, aveva fatto un saltino quando l’insegnante di italiano aveva presentato alla classe il nuovo arrivato: “Questo è Giacomo, conto su di voi perché riesca ad ambientarsi in fretta” aveva detto, lapidario, e lo aveva invitato ad accomodarsi nel banco di fianco a Emily. Pareva brutto guardarlo con insistenza ma, con la coda dell’occhio, lei lo aveva scannerizzato per bene e aveva raccolto le seguenti informazioni: neanche una pustola o un brufolo piccolino, anonimi capelli castani, però lavati di fresco, anonimi occhi castani che, tuttavia, lo sguardo, un po’ torvo, rendeva intriganti, unghie pulite, scriveva con la stilografica (cosa che gli aveva fatto guadagnare di colpo mille punti) e aveva un buon profumo. Tutto sommato, niente male. Emily lo aveva messo subito in cima alla lista degli sverginatori papabili ma bisognava stabilire un contatto e, soprattutto, che decidesse di collaborare. Nell’intervallo, lei era in prima fila nel capannello che si era radunato intorno al compagno per presentarsi. “Vi dico subito che, di cognome, faccio Casanova e preferirei che non mi prendeste per il culo per questo,” li aveva stoppati lui con aria decisa, già pronto alla rissa. Nell’attimo di silenzio che era seguito, Emily, distratta dal suo chiodo fisso, aveva allungato la mano e aveva detto, forte e chiaro “Ciao, io sono Emilia Bronte ma tutti mi chiamano Emily.” Se fossero stati studenti dell’Istituto tecnico o dell’Alberghiero, invece che del Liceo Classico, forse il disastro non sarebbe avvenuto. Lanciandole un’occhiata invelenita, Giacomo aveva sibilato “Cretina! Vaffanculo!” ed era sparito nei bagni, incurante dell’ululato di Sara che gli aveva gridato dietro “Imbecille! Si chiama davvero così!”

Perfetto! Contatto stabilito, si è accorto di me, aveva pensato con amara ironia Emily, dicendo addio a colui che, sia pure per breve tempo, era stato, nei suoi sogni, il partner ideale per il raggiungimento della tanto desiderata emancipazione sessuale. Per sua fortuna, però, Giacomo era un asino in matematica, mentre lei se la cavava piuttosto bene ed era la sua compagna di banco. Anzi, dimenticata la prima incomprensione, avevano trovato nella comune disgrazia dei loro nomi infelici, un motivo per avvicinarsi l’uno all’altra. “Mio padre mi ha chiamato Giacomo per propiziarmi un futuro pieno di donne” aveva confessato lui, vergognandosi come un ladro. “I miei, invece, non hanno mai sentito nominare Emily Brontë”, aveva ammesso lei, vergognandosi ancora di più. Erano diventati buoni amici e, intanto, Emily, in preda a una tempesta ormonale che riusciva a contenere a stento, tesseva intorno a lui una solida tela per catturarlo al momento giusto. Profumo, trucco, pancia di fuori a rischio colite, camicette supersbottonate, cordino del perizoma che sbucava dai jeans e poi il solletico, amichevoli scappellotti, interessarsi alle regole del rugby che lui amava, aiutarlo a studiare, fargli i compiti… insomma, una vera faticaccia ma Emily sentiva che la ricompensa era vicina, serviva solo la giusta occasione. Che era presto arrivata sotto forma di gita scolastica a Venezia. Casanova a Venezia! Emily ci aveva visto lo zampino di un destino compiacente. Grazie all’anarchia e alla libertà che, di solito, regnano in gita, sarebbe tornata a casa finalmente affrancata dalla tignosa verginità. E, infatti, era stata una vacanza piuttosto agitata, tanto che il Preside aveva minacciato la sospensione dell’intera classe per tre giorni perché tutti si erano abbondantemente ubriacati. Perso tra i fumi dell’alcool, un attimo prima di vomitare anche l’anima, Giacomo le aveva confessato “sai, Emily, sono gay!” Era stato davvero un brutto colpo ma lei, aveva un piano B e, un attimo prima di vomitare a sua volta, aveva trovato la forza di mandare un messaggio a Mario Rossi della III B con su scritto “Dove sei? Mi manchi tanto!”

 


 

 

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